Profili Tradizioni

I riti pasquali della vecchia Palermo

Aprili, lu duci durmiri, nè livari, nè mettiri: un vecchio proverbio siciliano che, nel constatare come in questo mese sia dolce il dormire, consiglia agli incauti di non togliere nè aggiungere indumenti. Aprile non è pazzerellone come il mese che lo precede, ma può riservare qualche sorpresa. La campagna è già tutta in fiore e, se un albero tarda, sarà meglio estirparlo : Arvulu chi d’aprili nun fa ciuri,mancu nni fa ‘ntra l’autri staciuni.

Secondo un’antica tradizione, se piove il 3 di questo mese, se ne avrà per quaranta giorni , ma l’acqua per la campagna sarà una vera fortuna. Aprile è considerato il mese della pasqua, anche se questa festa oscilla dal 22 marzo al 25 di aprile.

Il primo Concilio di Nicea (anno 325) stabilì che la solennità della Pasqua di Resurrezione sarebbe stata celebrata nella domenica seguente il primo plenilunio (quattordicesimo giorno della luna ecclesiastica) che viene dopo l’equinozio di primavera( che fu spostato dal 25 al 21 marzo ): se proprio il 21 marzo è di luna piena, e questo giorno è sabato, sarà Pasqua il giorno dopo (22 marzo); se invece è domenica, il giorno di Pasqua sarà la domenica successiva (28 marzo).
D’altro canto, se il plenilunio succede il 20 marzo, quello successivo si verificherà il 18 aprile, e se questo giorno fosse per caso una domenica occorrerebbe aspettare la domenica successiva, cioè il 25 aprile.

Simile a quella odierna la devozione dal Giovedì Santo alla Domenica di Resurrezione.Nel rito dell’Ultima Cena vi era usanza che il Capo del Governo, locale, lavava i piedi a dodici poveri, vestiti come gli apostoli, e dopo pranzo visitava alcune chiese dove erano allestiti i Santi Sepolcri. Dal mezzogiorno del giovedì sino a tutto il venerdì invece delle campane si suonavano le tabelle, e non si andava nè in carrozza, nè a cavallo per la Città in segno di rispetto alle auguste cerimonie che celebrava la Chiesa. Le persone più distinte andavano tutte a piedi nelle strade principali, con un seguito che le corteggiava, e con qualche lusso.

Oggi sopravvivono ancora alcune processioni in occasione del Venerdì santo: a Palermo il Venerdì Santo prevede quattro processioni. La prima si snoda da via Alloro ed è quella organizzata dalla congregazione dei Cocchieri che portano in processione la statua del Cristo morto e della Madonna dell’Itria. Un’altra processione, che parte dalla via Cassari per percorrere le viuzze della vecchia “vucciria”, è quella dagli artigiani del luogo devoti della Madonna del Lume. La terza processione è organizzata dalla confraternita dei panettieri ed è intestata a S. Maria Addolorata, la cui statua viene vestita come una qualsiasi persona, perfino con la biancheria intima. Infine, la processione di S.S. Addolorata della Soledad, organizzata dall’omonima congregazione, si svolge in piazza della Vittoria.

Si ripeteva annualmente la Fiera di Pasqua, che sorgeva una volta nella scomparsa piazza Castello poi trasferitasi al Foro Italico. ( Anche questa oggi è scomparsa- ndr ). Come scriveva Enrico Onufrio ” sorge tutt’a un tratto, come per incanto, un grande semicerchio di baracche di legno, dentro a cui di giorno e di sera, pigiasi una folla enorme. Occorre una pazienza e una rassegnazione d’anacoreta per reggersi in piedi in mezzo a quel pandemonio. E’ uno strepito infernale di fischietti, di corni, di tamburelli e di trombette; è un vociare, un gridare, è uno schiamazzare incessante che fa uscire dai gangheri; per dirla in breve è una baraonda continua che ti assale, ti circonda, ti trascina nel suo vortice assordante. Beato chi ci si diverte”.

Il giorno di Pasqua diventa un trionfo di ghiottonerie gastronomiche: in primo piano l’agnello che viene cucinato secondo le tradizioni cittadine e poi le pecorelle di pasta reale così come di pasta reale sono i frutti coloratissimi che le contornano. Ed ancora le “cuddure o aceddi cu l’ova” una sorta di grande biscotto, a volte a forma di uccello, in cui sono incastonate una o più uova. Ed infine la cassata tipico e rinomato dolce siciliano ormai noto in tutto il mondo che trae origine dalla ricorrenza pasquale. J. W. Goethe, nel suo ” Viaggio in Italia” del 1786, descrive così il giorno di Pasqua ” l’esplosione di gioia per la resurrezione del Signore si è fatta sentire fin dall’alba: i petardi, le racchette, le bombe, i serpentelli, sparati davanti alla porta delle chiese, si contavano a carra, mentre i devoti affluivano per i battenti spalancati. Fra il suono delle campane e degli organi, le salmodie delle processioni e i cori dei preti che le precedevano , ce n’era abbastanza per frastornare gli orecchi di quanti non sono assuefatti a un modo così fragoroso di adorare Iddio”.

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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