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Le origini della cassata siciliana

I siciliani hanno una percezione assoluta e mitica, ai limiti della sacralità, del cibo. La cucina rappresenta uno dei tratti culturali più resistenti attraverso la quale un popolo riesce a identificarsi come tale; e Antonino Buttitta, illustre antropologo siciliano, a proposito della cucina scrive: “Il miracolo sta nel fatto che tanta contrastiva ed esotica realtà riesca a sublimare la sua natura di accumulo storico ed etnico, riuscendo a presentarsi e rappresentarsi come specificità identitaria indigena e senza tempo.”

La Cassata, forse uno tra i dolci più amati d’Italia,venne creata per la prima volta da un contadino arabo, che la preparò con formaggio fresco e canna da zucchero e forse la chiamò Quas’at proprio per il nome della scodella dove l’aveva lavorata. Altri sostengono che se ne debba ricercare le origini nel sostantivo latino “caseum” (“formaggio”), con un chiaro riferimento all’ingrediente principale della ricetta, e chi, infine, lo considera l’evoluzione della parola inglese “glass” (“vetro”) che richiamerebbe la lucidità della glassa con la quale viene decorato il dolce

Il testo più antico in cui compare la prima volta la parola cassata è il “Declarus” di Angelo Sinesio (1305-1386). Fu lui, il primo abate del grandioso monastero di San Martino delle Scale, l’autore di quel primo vocabolario siciliano-latino il cui manoscritto è stato pubblicato nel 1955 a cura del benemerito “Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani”. Ebbene, alla voce “cassata” si legge: “cibus ex pasta panis et caseus compositus”.

Man mano vennero aggiunti gli altri ingredienti e il composto venne ricoperto con della semplice pasta frolla e cotto nel forno. Nel periodo della dominazione normanna, nel convento palermitano della Martorana, nacque la cosiddetta Pasta Martorana (o pasta reale) a base di farina di mandorle e zucchero che venne impiegata, oltre che per realizzare dolcetti a forma di piccoli frutti, anche per sostituire la copertura di pasta frolla della Cassata che non necessitava più, dunque, di cottura nel forno e si trasformò in un dolce freddo, con un piacevole tocco di verde conferitogli dalla colorazione della Pasta Martorana mediante l’utilizzo di estratti di erbe. Nel corso della dominazione spagnola, la Cassata acquistò altri due ingredienti, il cacao con il quale si arricchisce l’impasto a base di ricotta e, soprattutto, il Pan di Spagna che fece da base per il dolce al posto dell’originaria pasta frolla, mentre la Pasta Martorana divenne l’elemento principale delle ricche decorazioni che lo adornavano. Fu nel 1873 che la ricetta si trasformò in quella che tutti oggi conosciamo, grazie alla creatività del pasticcere palermitano Salvatore Gulì che arricchì ulteriormente la Cassata aggiungendo, tra le decorazioni, anche la cosiddetta “zuccata” (pezzetti di frutta, soprattutto mandarini, fichi, pere, ciliegie ed arance, immersi in uno sciroppo di zucchero) e la glassa lucidissima.

La torta, così decorata, fu esposta per la prima volta ad una esposizione di Vienna, nel 1873.

Non esiste una sola versione della Cassata, è possibile, infatti, trovarne differenti varianti che differiscono per gli ingredienti utilizzati, per il loro bilanciamento e per la ricchezza delle decorazioni. Tra le più rinomate di distinguono quella palermitana, quella trapanese, quella catanese, quella nissena e quella messinese dal sapore meno dolce. Viene spesso proposta anche in versioni monoporzione, chiamate Cassatine, e a Palermo, inoltre, non è raro trovare ancora chi prepara la Cassata a Forno che, come la versione originaria della torta, non contiene canditi né pasta reale, è ricoperta di pasta frolla e viene, appunto, cotta in forno.

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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