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L’esperienza palermitana…di una palermitana.

Salendo  dal Foro Italico, tagliando da Piazza Indipendenza, scendendo da via Maqueda o, perchè no, risalendo dalla stessa via. In Sicilia si è soliti dire “dove vai vai spunti a mare”, così, a Palermo, volendo essere romantici, potremmo dire: “dove vai vai spunti alla Cattedrale”.

Nascosta, quasi si vergognasse, tra i palazzi della città, grande quasi come una montagna e sinuosa come le onde del mare lì vicino, la chiesa dedicata a Santa Vergine Maria Assunta in Cielo sfoggia la sua magnificenza in corso Vittorio Emanuele. ‘Isolata’ dal resto della città, la Cattedrale fa parte dal 2015 del Patrimonio dell’umanità (UNESCO), nell’ambito dell’Itinerario Arabo-Normanno di Palermo, Monreale e Cefalù.

Sarebbe dunque da sciocchi scrivere l’ennesimo elogio alla sua struttura architettonica, ripercorrendo quella che è la sua storia… Dunque parlo della mia di storia, o meglio, di quella che è stata la ‘mia’ Cattedrale.


Il sabato sera in Sicilia si ha l’imbarazzo della scelta, suddiviso per fasce d’età e gusti personali. Talvolta, però, accade che la fascia d’età sposi qualcosa di diverso dal gusto personale, o da quello che veniva definito tale prima di quell’istante. Così, anche per me, giovane palermitana, un bel sabato sera è giunto il momento di spaziare, di accantonare le serate ‘danzanti’, la movida, e di cercare. Sì, cercare. Palermo è infatti una città caotica. Tutti quei rumori, quegli odori, quelle cose da vedere, ti impediscono di percepire singolarmente ogni cosa. Per questo motivo ho sempre evitato il centro storico: tanta confusione non sposava la mia ‘calma’. Adesso invece, per ironia del destino, cerco la confusione, cerco PALERMO. Ci vado per perdermi, per mischiarmi, per nascondermi, per avere così tante cose da vedere, sentire e gustare, da non sapere cosa ‘catturare’ prima. Ci vado perchè sento il bisogno inconscio di appartenere a qualcosa, a una storia. Ma sento anche che la mia storia non riguarda me, riguarda noi. Noi siciliani, noi arabi, romani, bizantini, punici, spagnoli, normanni, noi italiani.
Così, una sera, decisi di andare in visita sui tetti della Cattedrale che, molto frequentemente, apre le sue porte, o meglio i suoi tetti, ai visitatori.

Ultimo turno possibile per visitare: 23.30. Ultimo morso alla pizza quella sera? 23.19.
In una corsa contro il tempo da fare invidia a Bolt, arrivo dal teatro Politeama in corso Vittorio Emanuele e faccio il mio biglietto, all’onesta cifra di 5 euro. Pagato il ticket mi addentro cercando quella che doveva essere una fila, ma che aveva le sembianze di un raduno di tutti i residenti in Sicilia posti in fila indiana. Per quanto sembri raccapricciante però, l’attesa è stata piacevole. Se vi trovate in buona compagnia, o se il vostro occhio è in grado di soffermarsi sull’interno della chiesa, quella quarantina di minuti in coda voleranno, parola di impaziente.
Per salire sui tetti la modalità è alquanto sorprendente. Bisogna infatti passare da dietro una ‘cappelletta’ e salire una scala a chiocciola in muratura che, sicuramente, vi farà pensare, o almeno io l’ho pensato: “ma quanto avevano lunghe le gambe?”. I gradini infatti, sono più che altro ‘gradoni’, che vi permetteranno di unire in una sera cultura e palestra. D’altronde si sa: mens sana in corpore sano.
Due sono i ‘piani’ che visiterete una volta saliti sulla Cattedrale. Nel primo potrete ammirare la bellezza del prospetto esterno della chiesa, con le sue cupole verdi disposte una accanto all’altra, le decorazioni dorate sui cornicioni e i dettagli delle colonne, mentre delle gentilissime guide vi spiegheranno in sottofondo i particolari architettonici e storici della costruzione.

Sarà giunti al piano più alto, al tetto, che resterete senza parole.
Un lungo corridoio all’aperto vi condurrà ai piedi della cupola più ampia della Cattedrale sotto un manto stellato, se come me andrete di sera.

Se andrete di giorno invece, potrete ammirare dall’alto la spettacolarità di una città che, nel suo caos, nasconde le più timide chiesette. Queste, incastrate tra i palazzi del centro storico emergono con le loro cupole. Sarà solo in quell’istante che allora scoprirete una Palermo diversa, con un nuovo volto da mostrarvi.
La mia calma e il mio ordine non avrebbero mai potuto sposare quel caos che era Palermo, per questo mi ero sempre tenuta lontana dal centro storico… Prima di scoprire che anche il caos, per essere tale, ha bisogno di un suo ordine nel disordine.

Giorgia Tabbita è giornalista pubblicista, redattore per CulturaIdentità

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