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Lo Steri e l’Inquisizione

Quando il turista arriva a Piazza Marina la sua attenzione viene colpita immediatamente dal gigantesco Ficus Magnolioides che si trova al centro della villa Garibaldi. Poco più in là tra il chiaroscuro delle fronde s’intravede l’imponente struttura di Palazzo Chiaramonte detto Steri, da Hosterium cioè palazzo fortificato, uno dei monumenti più importanti della storia di Palermo e della Sicilia.

Il palazzo fu fatto edificare dalla famiglia dei Chiaramonte, conti di Modica, nel 1307. La sua storia è fitta di tragici avvenimenti, l’ultimo della famiglia Andrea fu sconfitto e decapitato dagli aragonesi proprio nello spiazzo antistante la fortezza.

Il 1600 è la data che fa la storia dello Steri perchè viene concesso al Tribunale del Santo Uffizio così che vengono apportate delle modifiche strutturali per realizzare le carceri e la sala delle torture.

L’Inquisizione in Sicilia fu introdotta prima del 1224 dall’Imperatore Federico II, la Inconsutilem tunica emanata a Palermo, dispose che tutti gli eretici e gli ebrei dovessero pagare una tassa a suffragio degli inquisitori di fede preposti al loro controllo. Ma è nel 1487 che Ferdinando II il Cattolico crea il Tribunale dell’Inquisizione e invia il primo delegato Frate Agostino La Pena ( mai nome fu più azzeccato!). A differenza di Napoli, che aveva rifiutato gli ordinamenti politici e militari spagnoli, in Sicilia l’Inquisizione dipendeva direttamente da quella spagnola e operava in assoluta autonomia dalla Santa Sede. Il potere degli Inquisitori era superiore a quello degli stessi vicerè.

Durante la sua lunga attività il Santo Uffizio inquisì circa 8000 persone di cui il 21% erano donne: 714 vennero assolti, 588 condannati al rogo il resto morirono tra stenti e torture. Alcuni erano sottoposti agli Auto da fè , gli atti di fede. Per l’occasione venivano allestiti dei palchi veri e propri e gli acqualora ( venditori di acqua fresca) e i semenzari si aggiravano tra la folla. Nei bandi si promettevano indulgenze a chi avrebbe presenziato e la scomunica a chi avesse tentato di aiutare i condannati. Il nome “atto di fede” derivava dal fatto che gli accusati potevano contare solo sull’intervento di Dio, che, se innocenti, li avrebbe salvati dal rogo. Questi disgraziati erano detti penitenziati . Coloro i quali tra questi abiuravano erano detti riconciliati e vestiti del sambenito , un saio giallo simbolo di vergogna, venivani avviati ai lavori forzati nelle carceri.

Le carceri erano suddivise in diverse tipologie: da quelle segrete a quelle della penitenza. Le più famose erano quelle filippine ( da Filippo III ) per i reati di tradimento.

Purtroppo in queste carceri non finivano soltanto gli eretici ma anche quelli che commettevano reati di bigamia, magarìa, “delitto nefando” ( omosessualità), bestemmia e atti sacrileghi. In verità era molto più facile finire nelle segrete dello Steri: bastava che i beni di qualcuno facessero gola a qualche inquisitore.

Quando salì al trono Carlo di Borbone il Tribunale della Santa Inquisizione subì una frenata grazie ad un editto che ne limitava i poteri, infine il 12 marzo 1782 re Ferdinando III, dietro suggerimento del vicerè Caracciolo ne ordinò la cancellazione.

Abolita l’istituzione del Tribunale le carceri furono aperte e così vennero distrutti gli strumenti di tortura e tutti i documenti relativi, ovviamente per evitare eventuali ritorsioni.

Dai primi dell’ 800 lo Steri divenne sede di uffici giudiziari e nella seconda metà del ‘900, dopo il restauro, sede del Rettorato dell’Università di Palermo.

Nel 1906 lo storico Giuseppe Pitrè riuscì a salvare i graffiti lasciati dai prigionieri dell’Inquisizione in alcune celle. lavorò di scalpello notte e giorno e a noi oggi sono pervenuti disegni, preghiere e scritte. I graffiti sono venuti alla luce, sotto l’intonaco, nel corso dei sondaggi per ulteriori lavori di restauro. Alcune scritte sono in latino, italiano dell’epoca e dialetto e alcune sono veramente strazianti. Costituiscono una documentazione di grande valore storico-antropologico e che nella maggior parte dei casi ribalta i ruoli: i condannati diventano gli innocenti e i giudici i colpevoli.

-Cavuru e fridu sintu ca mi pigla/ la terzuru tremu li vudella/ lu cori e l’alma s’assuttigla- (Sento caldo e freddo, mi ha preso la febbre terzana e mi tremano le budella, il cuore e l’anima mi abbandonano).

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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