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Viaggi

Mothya e lo stagnone

Durante la vacanza di alcuni amici a Marsala abbiamo fatto l’escursione in barca circumnavigando Mothya, piccola isola in mezzo alla laguna dello stagnone, così piccola da non far supporre di aver avuto parte nella storia della grande isola, la Sicilia. Eppure i Fenici diedero vita ad una prosperosa colonia. Grazie alla posizione strategica divenne un obiettivo ambito sia dai Cartaginesi che dai siracusani. Ed è proprio a causa di questi ultimi che Mothya venne completamente distrutta e presto dimenticata, per essere poi riscoperta alla fine del secolo scorso. Fu fondata nell’VIII sec. a.C. su una delle quattro isole della laguna dello Stagnone, il nome Mothya, probabilmente dato dagli stessi Fenici, significherebbe filanda e sarebbe collegato alla presenza di stabilimenti per la lavorazione della lana, qui impiantati.


L’isola, come la maggior parte delle altre colonie fenicie, era una stazione commerciale e doveva fungere da punto di attracco per le navi fenicie in rotta nel Mediterraneo. Sempre nell’VIII sec. inizia la colonizzazione greca, che si concentra soprattutto nella parte orientale della Sicilia, i Fenici ripiegano quindi sulla parte occidentale e Mothya accresce la sua importanza divenendo una cittadina. Nel VI sec. si acuiscono i contrasti tra Greci e Cartaginesi per il predominio sulla Sicilia e Mothya viene coinvolta; si arriva a cingerla di mura che ne permettano una difesa migliore. Nel 397 Dionisio il Vecchio, tiranno di Siracusa, assedia la città e pone fine alla sua esistenza. Gli abitanti si rifugiano sulla terraferma nella colonia di Lilibeo, l’attuale Marsala.

La riscoperta di Mothya è legata al nome di Giuseppe Whitaker, un nobile inglese della fine dell’800 la cui famiglia si era stabilita in Sicilia ed aveva avviato un fiorente commercio di esportazione di vino Marsala. Sull’isola si erge l’abitazione dei Whitaker, oggi trasformata in muse

Scienza e salute

Cum grano salis

Oggi il sale è considerato condimento essenziale nelle cucine di tutto il mondo, reperibile ed economico, al supermercato si possono trovare pacchi di sale da 1 kg anche a 20 centesimi, ma non va dimenticato che in passato il sale era un prodotto raro e costoso, un bene di lusso, per via della sua difficile estrazione. Il sale era uno dei prodotti maggiormente contrabbandati, almeno fino all’Ottocento, soprattutto in quelle zone lontane dalle saline o dalle miniere di sale, in cui questo prodotto arrivava raramente e a prezzi esosi, maggiorato dai costi di trasporto. Basti pensare che il termine stesso “salario”, inteso come pagamento, deriva dall’antico uso del sale come moneta di scambio. Negli ultimi anni l’offerta di sale sta cambiando anche per qualità e ci si trova di fronte ad una sempre maggiore varietà di sali: il sale comune italiano, il sale marino bianco, è stato affiancato dai diversi sali del mondo, il sale rosa dell’Himalaya, il sale grigio bretone, il sale rosso hawaiano, il sale affumicato norvegese, il sale blu iraniano e così via, dando origine ad un mercato del sale impensabile fino al decennio scorso ed a possibilità ed abbinamenti gastronomici infiniti.

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