Arte

Tomasi di Lampedusa, nemo propheta in patria

Il 23 luglio 1957 moriva Giuseppe Tomasi di Lampedusa e due anni dopo la sua morte il suo Gattopardo vince il premio Strega. Il dattiloscritto de Il Gattopardo fece il giro di diverse case editrici e fu respinto da lettori autorevoli come Elio Vittorini, se ne interessò invece Giorgio Bassani che, recatosi in Sicilia, trovò un manoscritto dell’opera, oggi conservato al Palazzo Filangeri di Cutò, museo dedicato all’opera di Tomasi di Lampedusa, a Santa Margherita Belice, insieme al dattiloscritto e a vestiti d’epoca, manifesti, un “fono-documento” con la voce di Tomasi e una stanza con le cere dei personaggi.


L’attenzione della critica si concentrò inizialmente sulla tesi conservatrice dell’opera, spaccando l’Italia dell’epoca su progresso e regresso, conservazione e rivoluzione. In realtà il fulcro del romanzo è da ricercare nel motivo decadente del presagio della morte e nell’antico tema dell’ineluttabile fluire del tempo. In un’intervista al Corriere dell Sera, il figlio adottivo Gioacchino Lanza Tomasi rivelava la filosofia del principe:-“Lampedusa si identificava con il principe Salina, ma la famosa battuta del cambiare tutto per non cambiare nulla, frase fra le più citate e fraintese della nostra storia letteraria recente, pronunciata da Tancredi all’interno della vicenda, non è la morale del romanzo, anche  perché l’assunto del Gattopardo è un altro: è la riflessione del principe e che è poi quanto è avvenuto in Sicilia e in Italia. Lampedusa considerava la morale del cambiare per non cambiare schifosa e inaccettabile”. Tomasi di Lampedusa non era un conservatore nonostante avesse votato la monarchia al referendum del 1946, ma era uomo di grande cultura, conosceva Marx e studiava Lenin, Croce e Gramsci e credeva nella rivoluzione francese.

 Uomo taciturno e solitario ,Giuseppe Maria Fabrizio Salvatore Stefano Vittorio nasce a Palermo il 23 dicembre 1896 da  Giulio Maria Tomasi, duca di Palma, e di Beatrice Mastrogiovanni Tasca Filangeri di Cutò. Duca di Palma, Principe di Lampedusa, Barone della Torretta, Grande di Spagna di prima Classe, cresciuto in simbiosi con la madre, ufficiale d’artiglieria catturato dagli Austriaci a Caporetto (imprigionato in Ungheria, riuscì a fuggire, tornando a piedi in Italia) e un matrimonio fallito con una delle prime donne studiose di psicanalisi, Alexandra Wolff Stomersee, Tomasi di Lampedusa rimase tutta la vita a guida dell’azienda agricola di famiglia e fu presidente regionale della Croce Rossa Italiana in Sicilia. Cugino di Lucio Piccolo, proprio dopo un incontro con Eugenio Montale e Maria Bellonci l’autore trasse l’ ispirazione per scrivere delle vicende storiche della sua famiglia, in particolare dalla biografia del bisnonno, il principe Giulio fabrizio Tomasi, il principe di salina, per l’appunto, vissuto durante il Risorgimento.

“Sessant’anni dopo siamo tutti consapevoli che Il Gattopardo è un classico e imprigionarlo nella gabbia delle ideologie ha poco senso. Ma sappiamo anche che quell’accusa di essere un romanzo di destra dimostra la miopia della sinistra d’allora, tanto più colpevole perché ne indica la sostanziale incomprensione di che cos’era stata e di che cos’era divenuta l’Italia, inescusabile per una classe intellettuale che si professava militante, moderna e progressista” ( Stenio Solinas – ndr).  E oggi Il Gattopardo, nel raccontare l’Italia del 1860, è più attuale che mai: strade, piazze, chiese, palazzi, scorci di paesaggio assolati della Sicilia  dei Mille, del tramonto dei Borboni e della vecchia aristocrazia isolana, quella Palermo di austerità e sfarzo, di grandi palazzi nobiliari e innumerevoli conventi non c’è più, i  sacchi edilizi hanno cambiato il volto dell’antico centro storico e un’era decadente ha ereditato i difetti di quella precedente. Così Il gattopardo diventa un romanzo epocale, la lucida analisi sulla politica dell’Italia unita e sul carattere essenziale della Sicilia fanno da spunto per una più profonda riflessione sul miraggio di un progetto politico, più liberalista che liberale, che preannuncia il decadimento morale di una classe di  arrivisti  e furbetti del quartierino che si spacciano per  leaders politici. Ieri come oggi un’ mancanza di prospettive per il futuro. Così quello di Tomasi di Lampedusa non è il rimpianto dell’aristocratico decaduto bensì l’amarezza di un italiano che vede il fallimento della sua nazione: “Noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”

 

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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