Uno dei ricordi più belli della mia infanzia ha a che fare con un rituale di cui ero partecipe nella vita di mio nonno e che poi divenne anche mio (in qualunque posto del mondo io mi trovi porto con me la mia bottiglietta di anice Unico!).
Nei pomeriggi estivi palermitani, quando l’afa toglieva a ogni essere vivente anche la forza di parlare, l’unico sollievo era recarsi al chiosco dell’ Ucciardone ( sic, proprio quello vicino al carcere) e bere un bicchiere di acqua e zammù, prima io e poi tu”, come dicevano i palermitani davanti ai chioschi per ribadire l’ordine della fila.
All’origine era praticamente un distillato di semi e fiori di sambuco, importato dagli arabi in Sicilia e presto diffusosi in ogni casa contadina, dove veniva usato per disinfettare l’acqua dei pozzi e delle cisterne, uso praticato regolarmente grazie al fatto che questa pianta era di facile coltivazione.
In seguito col termine zammù venne indicato un digestivo realizzato per l’appunto con fiori di sambuco e anice, che i palermitani sorseggiavano a fine pasto, possibilmente con un chicco di caffè chiamato “mosca”. Le alchimie linguistiche del siciliano trasformarono il sambuco in “zambuco” e quindi in “zammù”.
L’acqua e zammù era “portata in giro” per la città dall’acquavitaro, un venditore ambulante di acqua, che era armato di uno sgabello di legno dove erano legati con un cordoncino di rame dei bicchieri in vetro e dei piattini in rame per accompagnare i bicchieri, la cantimplora invece era in terracotta per mantenere al suo interno l’acqua fresca; faceva affari soprattutto nei giorni di festa, girando per le strade affollate, abbanniando (gridando -ndr) fra la gente che si godeva il passio (passeggiata -ndr ) alla “Marina” o al “Cassaro”, “Acqua cu zammù, che bedda fridda!” poi brocca alla mano, con gesto veloce disinfettava il bordo del bicchiere, e vi faceva scendere una piccola quantità di quel liquido bianco che ricorda il famoso pastis della Francia meridionale, ed ecco che l’assetato di turno era servito, per pochissimi centesimi, della sua bevanda lattiginosa.
La prima produzione industriale dell’anice distillato nasce in una tabaccheria sita in piazza Fieravecchia (oggi piazza Rivoluzione – ndr), a Palermo, di proprietà della famiglia Tutone, una delle famiglie di acquavitari più antiche della città: da ben sei generazioni custodisce il segreto della formula dell’anice per acqua creata nel 1813 utilizzando l’olio essenziale ricavato dall’anice stellato, rinnovando la produzione di quello zammù usato tanti secoli prima e utilizzando il nome Anice Unico proprio per distinguerlo dall’altro. Da quel momento sia gli acquivitari che le famiglie più abbienti ebbero la possibilità di comperare una bottiglia di distillato, subito pronto per essere versato in poche gocce nell’acqua atturrunata (gelida- ndr) .
Nel giro di pochi anni il nome dell’anice si legò indissolubilmente a quello dei Tutone e al chioschetto all’ombra della statua del Vecchio Palermo, vicino al teatro Santa Cecilia, il teatro più importante della città fino al 1892, che divenne punto di ritrovo anche per l’aristocrazia palermitana: in seguito le varie strutture precarie sparse per la città vennero sostituite da strutture più stabili e in stile liberty, seguendo alcuni decenni più tardi, la moda del momento dettata dall’ architetto palermitano Ernesto Basile, e che ancora oggi troviamo per le strade della nostra città.
Le proprietà benefiche dell’anice sono riconosciute fin dai tempi antichi. Si tratta di una pianta erbacea coltivata per i piccoli semi oleosi che se ne ricavano. Originaria del Medio Oriente, la spezia è diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo, tra cui il Sud Italia. Utilizzata già dai Greci, dagli Egizi e dai Romani per dare più gusto ai pasti a base di pollo, maiale e verdure, si diffuse dall’Oriente in tutta Europa, tanto che nel Medioevo la ritroviamo nelle ricette di moltissimi paesi. Oggi è usata per insaporire, oltre le carni e le minestre, anche i formaggi, i dolci, la frutta, i gelati e si trova spesso come aroma in molti liquori.
Le proprietà più importanti dell’anice sono quelle digestive: allevia il senso di gonfiore e in alcuni casi aiuta a sconfiggere la stitichezza e la flatulenza. Ottimo rimedio naturale anche contro la tosse, il mal di testa e l’alito cattivo. Il suo olio ha inoltre un potere antidepressivo e contribuisce a combattere l’ansia e l’insonnia. Secondo la tradizione orientale, dove si è sviluppato per la prima volta nei tempi antichi, l’anice aiuta a prevenire anche l’insorgere di tumori.
Per tutto il XIX secolo e fino agli anni ‘70 del ‘900 l’acqua e zammù rimase una delle bevande dissetanti più consumate e più popolari a Palermo e in molte altre zone della Sicilia fino a quando pian piano non fu sostituita dalle bibite gassate.
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