Arte

Vivaldi e le putte di choro

A Cremona, capitale della liuteria da oltre cinquecento anni, presso il Museo del Violino è possibile visitare, oltre alla collezione unica dei celebri strumenti realizzati da Antonio Stradivari e da vari esponenti delle famiglia Amati e Guarneri, una interessante mostra “I violini di Vivaldi e le Figlie di Choro” dal 5 maggio al 31 ottobre, a cura di Fausto Cacciatori, Deborah Pase e Federico Maria Sardelli, promossa dalla Fondazione Museo del Violino e dall’Istituto Provinciale per l’Infanzia Santa Maria della Pietà di Venezia, in collaborazione con il Distretto Culturale della Liuteria di Cremona e Michelangelo Foundation, con il contributo di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo. L’intento della mostra è quello di ripercorrere la storia dell’Ospedale della Pietà insieme alla figura di Antonio Vivaldi, che proprio all’Ospedale della Pietà, a partire dal 1703, fu maestro di violino e, successivamente, maestro di concerti, occupandosi anche dell’assortimento e dell’acquisto degli strumenti musicali. In quegli anni, l’Ospedale comprò più di cinquanta strumenti, molti dei quali sono entrati a far parte della collezione dell’Istituto che possiede oggi strumenti di altissimo pregio storico: fra gli strumenti realizzati da celebri liutai, presenti nella raccolta, figurano due violoncelli creati da Matteo Goffriller e un violino di Pietro Guarneri. Quasi tutti gli strumenti hanno cessato l’uso alla fine del XVIII secolo, quando il violino non aveva ancora terminato il suo percorso evolutivo. La raccolta dell’Istituto della Pietà si presenta pertanto come una grande fonte di informazioni sugli archi di scuola veneziana e tedesca. Violini, viole e violoncelli vengono presentati, inoltre, al pubblico dopo un’intensa campagna di restauro a cura del Museo del Violino.

Nel XVIII secolo a Venezia i conservatori, nati ai tempi delle Crociate come ostelli per i pellegrini, si trasformano in orfanotrofi e istituti di accoglienza per dare un tetto e un mestiere ad un gran numero di bambine abbandonate dai genitori. È un periodo in cui i figli illegittimi e indesiderati vengono lasciati davanti alle porte degli ospedali. Alla Pietà le bambine accolte ricevono un’istruzione religiosa e imparano a leggere, scrivere, cucire e svolgere i lavori domestici, ma soprattutto apprendono l’arte della musica e del canto. Col tempo diventano veri e propri centri di educazione musicale, scuole di alto livello e di notevole prestigio che hanno lo scopo, appunto, di conservare la musica, tramandandola. Le putte, che vivono segregate senza nessun contatto umano ad eccezione degli insegnanti di musica, si esibiscono nelle chiese degli ospedali durante i giorni festivi, nessuno può vederle, ma al di là dell’inferriata che le nasconde agli occhi del pubblico il suono dei loro strumenti e le loro angeliche voci toccano l’orecchio e il cuore di chi ascolta, nobili e gente comune, che chiedono di poter mandare le loro figlie a pagamento in questi ospizi per studiare la musica.

Fino alla caduta della Serenissima nel 1797 nessun posto al mondo fornisce alle donne un’istruzione musicale così accurata e rigorosa come il Pio Ospedale, la fama delle figlie di choro dalla laguna si espande a macchia d’olio fino all’Atlantico e al mar Baltico, da ogni parte d’Europa vengono ad ascoltare le putte. Una delle putte più famosa è Anna Maria, la migliore allieva di Vivaldi, la cui fama uscì ben presto dalle mura della Pieta’ per la sua straordinaria bravura nel suonare anche viola d’amore, violoncello, liuto, tiorba, mandolino e cembalo.   Appena sedicenne aveva dimostrato il suo grande talento per gli strumenti ad arco, tanto che Vivaldi le compra un violino e dall’istituto le viene accordato il permesso di suonare nel convento di San Francesco della Vigna. Nel 1720 il prete rosso acquista per la sua prediletta un nuovo violino ben più costoso del precedente, realizzato dal famoso liutaio Matteo Sellas. Vivaldi scrisse per lei anche concerti per viola d’amore: un forte legame come emerge dal  titolo in cui evidenziava in lettere maiuscole le iniziali della sua allieva nella parola AMore.

 

 

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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