Profili Tradizioni

Il collezionista di pizzi e merletti

La Sicilia è l’isola delle contraddizioni più forti e spesso stridenti sia nei suoi paesaggi sia nel carattere dei suoi abitanti e nelle sue pagine di storia. E storia e sogno si mescolano nelle atmosfere lente e sfavillanti, descritte da poeti e scrittori, della nobiltà siciliana, tra lusso e decadenza, tra sfarzo e fatiscenza.

Quella del collezionista di merletti è una di quelle storie che possono accadere solo in Sicilia. A Palermo c’è un uomo che ha dedicato la sua vita a una passione: raccogliere abiti, ventagli, scarpe, borsette, cappelli e migliaia di altri oggetti ancora. Lui è Gabriele Arezzo di Trifiletti, raffinato gentiluomo appartenente a due tra le famiglie più nobili e più antiche di Sicilia.

Gli Arezzo, antica famiglia ragusana contrassegnata araldicamente dai ricci, erano legati agli Amari di Palermo (illustre famiglia di storici e di politici, come Michele o Emerico) e avevano rapporti di famiglia con il gotha della nobiltà siciliana, i cui stemmi sono raffigurati nell´omonima sala del castello di Donnafugata a Ragusa.

  Incontro il marchese nella sua abitazione museo, circondato da una collezione che abbraccia più di tre secoli di moda. Tra le stanze di una normale abitazione si alternano teche con splendidi e rarissimi ventagli, appartenuti a gentildonne siciliane e famose attrici della belle epoque, una parte della straordinaria collezione di abiti dal 500 al 900, maschili e femminili, ma anche corpetti, camicie, mantelle, scialli, biancheria intima, guanti, calze, veli, cappelli maschili, femminili, militari ed ecclesiastici, scarpe, pettini, ditali, borse, ombrelli, oggetti da cosmesi, ventagli ecc. Considerata di eccezionale interesse etnoantropologico lo storico dell’arte Antonio Paolucci ha definito la collezione testimonianza della società aristocratica siciliana nel momento del suo massimo fulgore .

 “Quando ero ragazzo non mi interessava nulla di abiti e compagnia bella!”- mi dice tra una telefonata e l’altra, sì, perché il marchese, nonché professore in pensione di storia dell’arte, ricercatore, storico e consulente di numerose istituzioni siciliane per il recupero di opere d’arte, è molto impegnato e riuscire a strappargli la nostra intervista non è stato semplice – “tutto ebbe inizio con la morte di mio padre, che avvenne nel 1984: con mio fratello sorteggiammo l’eredità di famiglia conservata tra i saloni della villa di Marina di Ragusa ( la castellana –ndr ) e il Castello di Ragusa Ibla, considerati alla stregua di un container. Mio fratello, quando aprì i suoi bauli vi trovò argenteria e oggetti preziosi mentre i miei 408 bauli erano pieni di vestiti e accessori conservati per secoli dalla nostra famiglia. Ero arrabbiatissimo! Furono l’amico Rosario La Duca e Gaetano Basile ( noti storici siciliani – ndr ) a farmi cambiare idea. Avevo trovato un tesoro e non lo sapevo! Certo non capita a chiunque di trovare abiti e oggetti personali appartenuti a Emerico Amari e Franca Florio e tanti altri nomi altisonanti. Da allora ho trascorso la vita a catalogare e completare le collezioni acquistando alle aste i pezzi mancanti”.

A oggi nella collezione Trifiletti si possono contare 107 raccolte, composte da oltre 27000 capi maschili e femminili che tra berretti (civili, militari, clericali) e ogni genere di accessori (centinaia di ombrelli, borse, scarpe, cinture, fibbie, spille, ventagli) raccontano quattro secoli di storia del costume siciliano. E poi, un vestito tempestato di diamanti, due rarissimi bastoni in cristallo da cicisbeo, una bambola appartenuta a Marianna Ucrìa e uno straordinario esemplare di fortepiano a libro. Tra questa miriade di oggetti, la collezione cui il marchese tiene di più è quella degli autografi. Ai suoi visitatori Arezzo si diverte a chiedere – “Mi dica un nome?”- ed ecco che orgogliosamente mostra gli autografi di Einstein, Dumas, Pellico, Leopardi, naturalmente tutti ordinati e catalogati. Il professore è considerato uno dei massimi esperti di storia del costume e della moda in Sicilia tanto che riceve diverse richieste di consulenze tecniche anche da parte di stilisti e designer di rilievo internazionale.

E’ un uomo che ama raccontarsi e con semplicità ci rende partecipi che la sua vita non sempre è stata rose e fiori: -“Quando venni in possesso di questa ingombrante eredità ro appena separato e da solo, in un momento in cui ero particolarmente avvilito, con una bambina da crescere, mi misi a catalogare tutto il contenuto dei bauli; lentamente cominciai a studiarli, quando ancora non esisteva nessun tipo di documentazione sulla moda in Sicilia e gli unici riferimenti di storia del costume erano francesi .        Trascorsi gli inverni degli anni a seguire facendo ricerche e giungendo alla conclusione che quella che mi era capitata non era semplicemente un’enorme collezione di abiti bensì quattro secoli di storia di una famiglia che per tutto quel tempo aveva conservato non solo i suoi vestiti ma qualunque tipo di accessorio”– mentre continua il suo racconto noto alle pareti diverse foto di una splendida bambina dagli occhi blu tra le braccia di una ragazza sorridente con lo stesso colore di occhi -“mia figlia e mia nipote” – mi dice con evidente orgoglio. Mi avvicino alla libreria per guardare più da vicino le altre foto e riconosco alcuni personaggi del cinema e della televisione ” Emma Thompson venne a farmi visita durante le riprese in Sicilia di Shakespeare in Italy, il documentario della Bbc sul famoso poeta inglese, mentre Susan Sarandon è mia cugina da parte di madre; qui siamo con Pippo Baudo durante un defilé dei miei abiti a Taormina mentre in quest’altra foto Vittorio Sgarbi ha indosso una rarissima maschera che altera completamente i connotati”- e prontamente mi mostra l’oggetto in questione che con curiosità non tardo a provare e che effettivamente corrisponde alla sua descrizione – “oggi devo ammettere”- prosegue con un certa aria di soddisfazione nel volto -” di essere considerato, modestamente, il referente per la moda in Sicilia di Palazzo Pitti e di tante altre istituzioni per tutto quello che riguarda la moda! Sono stati gli stessi abiti a farmi comprendere che la mia missione era quella di tramandarli nel tempo, custodirli ed evitare la loro distruzione: ogni ritrovamento nel corso di questi anni e qualcuno anche di estimabile valore, mi ha fatto capire che sono un uomo molto fortunato e questo perché credo sia il karma della mia vita ritrovare oggetti che possano cambiare la storia o restituire dignità storica a fatti ed eventi che altrimenti rimarrebbero sconosciuti come nel caso delle carte appartenute a Massimiliano d’Asburgo “(Gabriele Arezzo di Trifiletti, Dal Messico alla Sicilia : le carte di Massimiliano d’Asburgo e del generale Miramon, Pubblisicula 1999 – ndr)

-“ Da un punto di vista emotivo mi rendo conto di entrare e uscire dal passato e di essere diventato uno storico non indifferente ma senza presunzione poiché conoscere il passato attraverso l’abito, che rappresenta il primo oggetto che accompagna l’uomo, ti rende consapevole dell’importanza di rivivere e far rivivere una memoria che altrimenti sarebbe morta. Gli enormi sacrifici sono stati riscattati nel tempo da grandi soddisfazioni come l’avere presenziato al G8 a L’ Aquila per rappresentare l’Italia con un abito della mia bisnonna insieme al violino di Stradivari “.

Il professore continua a raccontarmi degli anni difficili, dietro alla collezione, a causa di un atto, da parte della Sovrintendenza ai Beni Culturali, che gli proibì di esporre al pubblico 4600 abiti. Finalmente a marzo 2015 il Castello di Donnafugata ha acquistato per realizzare un importante Museo del Costume che ogni anno richiama migliaia di visitatori -“sono felice che alla fine una parte della collezione sia tornata a casa ma soprattutto l’avere legato in vita il mio nome al mio avo Corrado V Arezzo De Spuches, barone di Donnafugata, mito della storia ragusana, filantropo, colto, aperto alle influenze culturali europee; una delle figure di prestigio nella storia di Ragusa Ibla, Corrado era un uomo illuminato non snob, stravagante “-  racconta con passione il nostro marchese – “ristrutturò il castello di Donnafugata legando i nuovi dettagli stilistici della residenza allo scherzo e ai giochi d’acqua, alle sfingi e al labirinto, al particolare neo-gotico di bifore e sculture romantiche, così di moda nella Palermo del tempo”– con la sua affabile cortesia il Marchese Arezzo, sempre attento che non si perda interesse al suo racconto, continua con orgoglio la storia di famiglia –          ” immaginatevi che il barone Corrado ottenne per il suo castello una deviazione della linea ferrata nel tratto Siracusa-Licata. Il castello divenne in quel periodo un luogo privilegiato dove ospitare personaggi illustri come Crispi e Di Rudinì e per farne un polo culturale dove si incontravano lettere, arti, scienza, politica”-. Tra i pezzi ceduti al Castello di Donnafugata l’abito di Vincenzo Bellini e l’abito appartenuto a Giuditta Pasta e che ispirò a Luchino Visconti il celebre abito bianco di Angelica nel Gattopardo: è un rarissimo esempio di sovrapposizione di veli trasparenti di organdis finissima e impalpabile che quest’anno, in mostra, ha incantato migliaia di visitatori, un altro pezzo rarissimo il corsetto per bambina e ancora uno dei busti più grandi per nobildonna anziana, il prezioso abito da mattino della Contessa Concetta, moglie del generale Miramon , una culla d´epoca per presentare il corredo per il neonato, una sedia da parto ottocentesca con accessori, un baule da viaggio ricomposto con il corredo intimo. Continua a parlare di broccati, di lingerie, di crinoline e passamanerie, di moda e di donne ed io lo immagino, il caro marchese , giovane rampollo, che comincia ad innamorarsi dei tessuti, dei ricami, delle paillettes (quelle antiche erano d’oro e d’argento!), delle pieghe di un abito che al momento giusto nascondono o esaltano una curva o una rotondità. Una caviglia che compare tra pizzi e merletti ed eccomi già catapultata in un’altra dimensione, passeggiando e danzando negli sfarzosi palazzi della città addobbati a festa, tra decolleté incipriati e ventagli maliziosi dove la luce tenue delle candele illumina i volti di giovani donne che, strette nei corpini di quei preziosi abiti, palpitano in attesa delle braccia che le cingeranno per un altro valzer ancora.

“Tra XVIII e XIX secolo in Sicilia i colori degli abiti femminili erano forti come il suo sole: un’esplosione di colori dal giallo al blu, dal rosso al viola, dal bluette al bordeaux e in accoppiamenti ancora più variopinti. Una moda di grande pregio e lo si evince dalle passamanerie che sovente indicavano nobiltà e ricchezza, così che anche le livree dei domestici erano molto rifinite proprio a indicare la grandiosità del casato: era risaputo che a un siciliano un abito costava quanto il raccolto di un feudo! In questo sfoggio di  eleganza nel 700 la Sicilia era seconda solo alla Francia insieme alla moda veneziana, superando anche Vienna. L’eleganza femminile nei secoli è cambiata poiché si è legata sempre più alle esigenze della donna, sembra un controsenso, ma dagli abiti dell’epoca ci si può facilmente rendere conto quali sofferenze fisiche sopportava le nobildonne per indossare dei vestiti dentro ai quali non di rado ci morivano dentro con milza o fegato spappolati per rispondere a quei canoni estetici che pretendevano il vitino da vespa!”- mentre termina la nostra intervista con questa considerazione non posso fare a meno di abbassare gli occhi per accorgermi che indosso le mie belle scarpe col tacco da questa mattina e non posso non pensare che, anche oggi, come allora e come sempre, noi donne soffriamo e continueremo a soffrire, ostinandoci a seguire quegli stereotipi di bellezza che la moda ci impone. Oggi come allora.

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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