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Pintacuda e Sorge, dalla primavera al declino

di Pasquale Hamel

Due personalità potremmo dire ingombranti, due forti temperamenti, due preti, gesuiti di notevole spessore culturale, carichi di entusiasmo e con lo sguardo lungo protagonisti di una stagione drammatica della storia di una città difficile, quale era, e continua ad essere, Palermo d’un tratto divenuta in quegli anni, suo malgrado, “palcoscenico d’Italia”.
Da un lato padre Bartolomeo Sorge, già direttore della Civiltà Cattolica, e autorevole voce degli ambienti curiali, che gode la fiducia di papa Paolo VI, impegnato a declinare nel contesto ecclesiale, e non solo, quanto di dirompente era emerso dal Concilio Vaticano II.
Dall’altro padre Ennio Pintacuda, siciliano sanguigno, infaticabile anima di movimenti che conquistano un loro spazio nell’Italia dei partiti, un visionario con la vocazione del leader politico.
Sullo sfondo, il crepuscolo della prima repubblica, le stragi di mafia, il degrado politico e amministrativo che, proprio a Palermo, raggiungeva i vertici e l’emergere prepotente di un politico cresciuto negli ambienti della città bene, con un buon bagaglio culturale, grande affabulatore, cioè Leoluca Orlando.
Due personaggi, Sorge e Pintacuda che, pur avendo molti punti in comuni, arrivavano, però, in merito alla crisi del sistema politico, a conclusioni diverse e che, alla fine, proprio per questo motivo finirono per scontrarsi in modo perfino scandaloso trattandosi di uomini di Chiesa.
Di queste biografie singolari, e delle storie che li ebbero attori sociali importanti a Palermo, tracciano un profilo molto puntuale e, in qualche pagina, sorprendente, Nuccio Vara e Pino Toro nel volume “Pintacuda e Sorge. Il cammino personale e comune, il confronto” delle edizioni San Paolo.
Il volume, molto documentato, parte proprio dall’arrivo, il 22 ottobre 1985, di Bartolomeo Sorge a Palermo, incaricato di dirigere il Centro di formazione Arrupe divenuto, grazie all’attivismo di padre Pintacuda, una sorta di fucina o laboratorio per nuove esperienze formative e politiche.
Un arrivo, quello di Sorge, salutato positivamente anche dallo stesso padre Ennio che forse immaginava un avallo per le sue spericolate sperimentazioni politiche, prima fra tutte quella del sostegno al protagonismo dei quartieri attraverso le esperienze di decentramento amministrativo, ma anche nelle sue battaglie radicali contro la mafia e la corruzione, quest’ultima frutto di poco casti connubi con la criminalità organizzata.
Quindi la razionalizzazione (o normalizzazione?) dell’attività del Centro di formazione Arrupe che, grazie proprio all’opera di padre Bartolomeo, acquista prestigio non solo a livello locale ma addirittura internazionale.
E ancora, le spinte dello stesso Pintacuda, nonostante le forti perplessità della curia palermitana – il cardinale Pappalardo in testa – e degli stessi gesuiti, a far scendere in campo per le amministrative i movimenti, a cominciare da quella che può essere considerata una sua creatura, cioè Una Città per l’uomo.
E, infine, il manifestarsi del conflitto, prima strisciante poi sempre più evidente, che vede un padre Sorge, interessato al rinnovamento e alla rivitalizzazione dei partiti attraverso leadership competenti e di alto profilo etico, ed un Pintacuda che invece punta a forme di partecipazione che vanno oltre i partiti, che spinge il pedale su un giustizialismo giacobineggiante, che enuncia un postulato che travolge i principi fondamentali della civiltà giuridica e, cioè, “che il sospetto sia l’anticamera della verità”.
Un conflitto che spinge all’allontanamento dal centro Arrupe di Pintacuda il quale intanto porta, puntando tutto sul giovane Orlando, alle estreme conseguenze l’idea di rottura con il sistema, sintetizzate nella fondazione de “La Rete”, un movimento-partito, segnato da forti tinte populiste, nel quale convergono esperienze diverse e non sempre coerenti fra loro.

Uno strumento che diviene la piattaforma per consolidare la dimensione nazionale e internazionale di Orlando e che, eterogenesi dei fini, finisce per ridimensionare la figura del gesuita suo consigliere sottraendogli quella visibilità che si era guadagnata in anni di battaglie “contro” che l’avevano sempre visto in prima linea.
Ed allora, la rottura fra Pintacuda ed il suo pupillo che freudianamente si libera del padre, uccide il padre.
E mentre Sorge in qualche modo rientra nei ranghi ma testardamente richiama il suo progetto di rinnovamento che esclude gli eccessi rivoluzionari, Pintacuda appare un prim’attore che persa la scena si muove in modo non sempre lineare e cerca di ridisegnare il suo ruolo, non rinunciando tuttavia alla sua forte attenzione ai movimenti de alla sua vocazione antimafia, ma cercando di allargare lo sguardo oltre
l’asfittico ambito palermitano nel quale, però, inconsapevolmente sempre più si chiude.
E quello sguardo lungo, di cui è sicuramente dotato padre Ennio, che gli fa capire che si è aperto un tempo nuovo, nel quale altri modelli avanzano con i quali per far sopravvivere il progetto è opportuno positivamente confrontarsi e, perfino, contaminarsi.
Pintacuda, infatti, pur adattandosi al nuovo, non abbandona le sue idee – resta, fra l’altro, l’icona antimafia- ma le rideclina spingendo sul lato del suo magistero formativo e tenendo presente gli attori del suo tempo.
E questo lo fa anche accettando perfino un incarico prestigioso dal centrodestra, un incarico che tuttavia mette al servizio della  modernizzazione democratica e della cooperazione euromediterranea. Ma anche l’esperienza dell’Arrupe di Sorge volge al termine.
Il trasferimento del gesuita a Milano fa suonare la campana a morte per quello che era divenuto un punto di riferimento forte per la cultura del rinnovamento a Palermo tanto che, nonostante la buona volontà dei successori di padre Bartolomeo, il Centro di formazione Arrupe si eclissa dall’orizzonte culturale prima nazionale e poi locale.
E tutto questo perché, in realtà, quella stagione – formidabili quegli anni – era chiusa.
Il libro, affronta tanti altri argomenti, parla infatti della cosiddetta “Primavera di Palermo”, parla del declino della Democrazia cristiana, parla dell’ansia di rinnovamento che emergeva negli ambienti ecclesiali, parla della parabola autoreferenziale dell’egotista Leoluca Orlando – un politico fatto santo in vita che, potremmo dire, porta in processione sé stesso, e lo fa con grande puntualità e molto coraggio.

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