Scienza e salute

Quando il sole d’agosto non colora lo squallore della vita

Finalmente è arrivato agosto: che sia la montagna o il mare, tra una gita in barca e una cena sotto le stelle, finalmente possiamo godere del meritato riposo.

Il tempo è il vero lusso, ciò di cui sentiamo sempre più la necessità. Il tempo che non riusciamo ad avere per noi, per i nostri cari, per gli amici, per lo sport, per le nostre passioni, per i viaggi, per la lettura, per la musica, per il cibo, per la salute, per imparare e per amare. Eppure l’essere umano piuttosto che dedicarsi al proprio benessere, proprio sotto il sole d’agosto, preferisce dedicarsi al pettegolezzo.

A tutti i pettegoli, confessatelo almeno a voi stessi, non ce la fate proprio a non parlare del collega, del vicino o dell’amico, è come un diversivo, un elemento immancabile, in assenza di varietà o entusiasmo nelle vostre vite, che ravvivi  la conversazione e la digestione, spesso con informazioni e commenti piccanti.

Ma, ma, ma… pettegolare non è una cosa proprio normale, ci sono dei risvolti psicologici, perché “sparlare” della vita privata degli altri, senza che gli altri ci abbiano fatto niente equivale allo sfogo di una insoddisfazione interna forse per trovare una compensazione.

Allora, per un momento riflettete e dimenticatevi del collega o della collega più brava, più bella, più fortunata di voi, del vicino più ricco, con la casa più bella:  dedicare tutto questo tempo  a raccontare gli affari degli altri, a spettegolare sulla vita di altre persone significa  allontanarsi  da se stessi, dalle proprie passioni, come se la stima  per la propria persona fosse  addirittura insignificante.

 Avere difficoltà a parlare di sé e del proprio mondo è spesso la spia di una scarsa fiducia nelle proprie capacità e nasconde delle frustrazioni interne, rappresenta una mancanza di autostima in quanto non si cerca di creare un legame di amicizia con argomenti di conversazione positivi volti a costruire dei rapporti sani.

Da un punto di vista sociologico  il pettegolezzo è nato insieme al linguaggio umano e serviva  ai nostri antenati per capire di chi potersi fidare e con chi poter collaborare per la propria sopravvivenza. Spettegolare permetteva di creare un’ alleanza e un senso di sicurezza nel gruppo che condivideva l’informazione, di rafforzare i legami interni in contrapposizione a un individuo o un gruppo esterno oggetto del pettegolezzo. In questi termini, il pettegolezzo è una modalità relazionale non completamente negativa: crea legami sociali e risponde alla necessità del cervello di ridurre l’incertezza e riempire i vuoti di informazione che ci causano disagio e ansia.

Ma cerchiamo di capire alcune dinamiche proprie di questa attività.

Leggendo qua e là tra le varie pubblicazioni di psicologia emerge il dato che nell’ambiente lavorativo il 70% delle conversazioni consiste nel pettegolezzo: far parte di un gruppetto che sparla di altri ci fa sentire al sicuro, di avere degli alleati, potendo contare in un legame interno al gruppo, le antipatie comuni  consolidano il “noi” contrapposto a un “loro”.

Per alcuni predomina il bisogno di sminuire gli altri per elevare la propria autostima e mettere a tacere la propria invidia, quando non maschera una forma di aggressione indiretta. Per altri ancora, fare gossip, è l’unico modo per attirare su di sé l’attenzione, per sorprendere, creare complicità con l’interlocutore, e per sentire di avere uno status e un potere, influenzando i pensieri degli altri.

Ma sotto sotto, ho scritto prima, c’è qualcosa che non va. E’ necessario coltivare i propri interessi, dedicarsi con passione al proprio mondo interiore,  trovare un punto di riferimento all’interno di noi stessi e non all’esterno: solleticare la curiosità dell’altro con il pettegolezzo ha un fascino perverso che miete vittime anche in una società cosiddetta “progredita” come la nostra e appare irresistibile anche alle menti più raffinate, più la diceria è scabrosa, maggiore sarà il suo potere di attrazione e di far colpo sull’ascoltatore, perché ciò che ci scandalizza ci incuriosisce.

L’impulso a parlare male può essere determinato da sentimenti come il rancore, l’invidia e a volte parlare degli altri rappresenta una confusione tra sé e la persona oggetto del pettegolezzo.

Possiamo addossare all’altro ciò che invece appartiene a noi stessi.

La difficoltà a parlare di sé e del proprio mondo è spesso la spia di una scarsa fiducia nelle proprie capacità, di una vita squallida, senza sapore, il più delle volte, pur avendo di che essere felici si percepisce la propria esistenza noiosa e frustrante.

Le persone pettegole hanno un mondo interiore  senza colori, cosa che si intuisce dalle loro conversazioni, spesso incentrate su fatti esterni piuttosto che sui loro pensieri, stati d’animo, opinioni. Spesso fuggono dai propri problemi personali occupandosi di quelli degli altri e spostando l’attenzione dalle proprie mancanze a quelle altrui, compensano così  il proprio malessere. Non ne sono però consapevoli, e nessuno di solito ammette di essere pettegolo, perché è una caratteristica connotata in modo negativo.

Il parlare male alle spalle degli altri però può essere devastante, perché  significa  distruggerne l’immagine, metterlo in ridicolo, o anche solo perché i pettegolezzi,  moltiplicati in modo esponenziale, accerchiano la vittima e invadono la sua vita e intimità. Le conseguenze possono sfuggire e assumere proporzioni inimmaginabili. Qualunque pettegolezzo, anche inizialmente innocuo, una volta nel meccanismo che lo deforma e amplifica a dismisura, può diventare letale.

 

 

Paola Idilla Carella è giornalista, autore Tv, Press Office e PR
(Cit.) Io, la muta, la indosso soltanto. Non la faccio!

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